Lorenzo Bini Smaghi, “La tentazione di andarsene. Fuori dall’Europa c’è un futuro per l’Italia?”, Il Mulino Ed., Bologna, 2017.
Recensione di Andrea Giostra.
Interessante e reale analisi della situazione economica italiana, letta da un punto di vista oggettivo e da una prospettiva internazionale, spoglia da qualsiasi inquisizione governativa italica e priva di elementi propagandistici provinciali oramai usuali della stampa nostrana succube del regime finanziario di stato inquinato da interessi lobbystici e campanilistici. Finalmente un osservatore compente e schietto che dall’alto della grande autorità internazionale che ha maturato in tutto il mondo che conta veramente nell’economia globale, delinea un profilo economico-finanziario oggi assolutamente disastroso, che classifica l’Italia all’ultimo posto in Europa, poco prima della Grecia.
È vero quello che recentemente ha detto pubblicamente il Governatore della B.C.E. Mario Draghi che siamo fuori dalla crisi economica e in Europa la crescita sta lentamente riprendendo. Ma Draghi non ha detto che questa ripresa non riguarda affatto l’Italia, impantanata da anni in una situazione di stallo e di lento ma inesorabile declino economico e finanziario. È vero che l’Europa in questo momento ha una crescita trimestrale intorno allo 0,5%, che lascia prevedere una crescita annuale di circa il 2%. Un ritmo assolutamente sostenibile e incoraggiante. Dagli osservatori italiani e dalla stampa economica italiana, non viene però detto che ci sono due eccezioni in questa crescita europea: l’Italia e la Grecia. Sono analisi che i cittadini e le imprese italiane non conoscono, e che di fatto cristallizzano la posizione dell’Italia come il Pese europeo meno affidabile e meno interessante economicamente per eventuali finanziamenti esteri e per i più importanti investimenti sul territorio italiano. Nello scacchiere europeo, l’Italia, insieme alla Grecia, sono gli anelli più deboli, prossimi alla rottura; di fatto rappresentano un reale rischio per l’intero sistema economico europeo: anche questa grande verità, gli attuali governanti la nascondo con maestria mediatica a tutti gli italiani.
Si nasconde inoltre che il debito pubblico italiano negli ultimi anni, ed in particolare negli ultimi 4-5 anni, è aumentato spropositatamente, superando il 130% del PIL. A questo debito si aggiunge poi un altro debito, quello dello Stato Italiano, con le sue differenti istituzioni sparse sul territorio (Ministeri, Regioni, Comuni, Provincie, Aziende Pubbliche, etc…), nei confronti delle aziende private che hanno realizzato opere o fornito servizi a seguito di bandi pubblici: un debito che gli analisti stimano intorno ai 100 miliardi di Euro. Infine, altro dato oggettivo, è quello relativo al reddito medio italiano che è il più basso dall’anno duemila, con un potere d’acquisto di molto interiore a quello di vent’anni fa. Il più basso, insieme alla Grecia, di tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Dati questi assolutamente oggettivi che sanciscono l’inevitabile affossamento dell’Italia nella scena internazionale; Italia che a questo punto avrà scarsissime possibilità di ripresa, anche perché sembra chiaro a tutti i cittadini che la classe dirigente, sia politica che istituzionale che imprenditoriale, non è prossima al cambiamento in tempi brevi, e i danni economici e finanziari che verranno fatti dall’attuale classe dirigente e di governo, saranno impossibili da recuperare per i prossimi vent’anni da qualsiasi nuovo governo.
Ci sono dei fattori strutturali che impediscono al Paese Italia di crescere e di competere a livello europeo e internazionale, di creare veri posti di lavoro duraturi. La reale produttività non esiste, e quando c’è, non è paragonabile a quella dei Paesi in forte crescita economica e con una produttività tangibile e significativa. Anche in questo caso, la produttività del nostro Paese è oggi più bassa che vent’anni fa: un caso unico in tutto il mondo occidentale. A questo si aggiunge che l’introduzione della più moderna tecnologia nei sistemi produttivi italiani, è inadeguata e scarsamente concorrenziale con i nostri competitor e con le multinazionali straniere. Questa deficienza del sistema produttivo italiano è quasi sempre responsabilità del management geriatrico del nostro paese, anche se mai riconosciuto dagli analisti italiani o dai nostri governi che non hanno la capacità e la perspicacia di cogliere questi segnali così chiari e lapalissiani a tutti gli osservatori extra-nazionali. Si parla sempre di “riforme” (che non arrivano mai!), ma nessun politico o governante italiano parla del “Fattore Umano”. È il patrimonio umano, il cosiddetto “fattore umano” appunto, il “management” se vogliamo utilizzare un termine anglosassone, che fa la reale differenza in tutti i Paesi che oggi crescono e si sviluppano con poderosa energia.
Questa situazione alimenta fortemente la tentazione di mollare tutto e lasciare l’Italia per sempre, e andare nei Paesi esteri realmente in crescita e realmente produttivi, per crearsi un futuro e per realizzare i propri sogni professionali e imprenditoriali. In realtà oggi l’Italia è un Paese per vecchi, un sistema di potere geriatrico incontrastabile e sordo a tutto quello che accade nel mondo economico internazionale; un sistema di potere gestito a tutti i livelli da personaggi over 65, nell’età cronologica o nell’età mentale, che alimenta solo sé stesso, incurante del destino del nostro Paese che tutti i più importati osservatori al mondo vedono oggi come segnato dai peggiori presagi. Le riforme econimico-finaziarie, lo snellimento della burocrazia per favorire le start-up e le piccole e medie imprese, l’accesso al credito in linea con i paesi in grande crescita economica e imprenditoriale, l’allentamento della pressione fiscale e dell’azione vessatoria agita dalle agenzie di stato per le entrate, la riduzione del costo del lavoro, sono tutte riforme promesse in campagna elettorale ma mai realizzate dai governi che si sono succeduti negli ultimi cinque-dieci anni.
A questo si aggiunge che le nostre migliori intelligenze non hanno alcuna possibilità di entrare nell’élite dirigenziale dei vari organi dello stato italiano, ma spesso anche nelle nostre più importanti multinazionali private o a partecipazione statale, perché culturalmente si preferisce al giovane intelligente, competente e capace, il giovane ossequioso, modesto e fedele. Nessuna grande dirigente italiano, sia del pubblico che del privato, assume un giovane più in gamba e più intelligente di lui, proprio perché il timore è quello di perdere il proprio potere e i propri privilegi. Alla classe dirigente italiana non interessa formare la migliore squadra di collaboratori per competere con i più importanti e potenti stakeholder internazionali; non interessa importare la migliore tecnologia esistente al mondo per migliorare la produttività e l’efficienza del sistema economico e imprenditoriale italiano, anche quando i segnali che arrivano dal mercato sono chiari e inequivocabili; l’unico interesse è quello di mantenere la propria posizione e il proprio potere personale anche a danno dell’impresa o dell’istituzione per la quale si ricopre quell’importante incarico.
Di fatto il nostro Paese è governato da una classe dirigente obsoleta, spesso con un forte analfabetismo idiomatico e informatico, con una mentalità forse adeguata al XX o al XIX secolo, non più al passo coi tempi moderni, spesso corrotta, e priva di qualsiasi scrupolo.
Brevi note biografiche sull’autore:
Lorenzo Bini Smaghi nasce a Firenze nel 1956. È uno dei più importanti e influenti economisti del mondo. Dal mese di gennaio 2015 è Amministratore Delegato della Societè Générale, la più prestigiosa e influente banca e società finanziaria multinazionale francese; e Presidente della Italgas. Visiting Professor presso la prestigiosa Scholar at Harvard’s Weatherhead Center for International Affairs e Ricercatore Senior presso l’Istituto Affari Internazionali di Roma. Bini Smaghi, dal giugno 2005 a novembre 2011, è stato componente dell’Executive Board of the European Central Bank. Presso la Banca Centrale Europea (B.C.E.) Executive Board è stato responsabile delle relazioni internazionali ed europee, responsabile del dipartimento legale e dell’amministrazione della B.C.E., e responsabile della creazione di un nuovo rapporto per la B.C.E. con il Frankfurt Grossmarkthalle (mercato interno tedesco).
Lorenzo Bini Smaghi è inoltre Presidente della Fondazione Palazzo Strozzi che promuove iniziative culturali a Firenze.
ANDREA GIOSTRA.
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Chi fosse interessato ad approfondire la conoscenza dell’autore, Lorenzo Bini Smaghi:
http://www.lorenzobinismaghi.com/
https://en.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_Bini_Smaghi
https://it.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_Bini_Smaghi
http://www.raiplay.it/video/2017/05/In-12-h-d6f1a9e4-2d93-4b49-b1af-eabc1f9ac1ce.html
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Alcune delle interessanti pubblicazioni dell’autore:
“La tentazione di andarsene. Fuori dall’Europa c’è un futuro per l’Italia?”, Il Mulino Ed., Bologna, 2017.
“33 false verità sull’Europa”, Il Mulino Ed., Bologna, 2014.
“Austerity, European Democracies against the wall”, CEPS Ed., Brussels, 2013.
“Morire di Austerità, Democrazie europee con le spalle al muro”, Il Mulino Ed., Bologna, 2013.
“Il paradosso dell’euro. Luci e ombre dieci anni dopo”, Rizzoli Ed., Milano, 2008.
“L’Euro”, Il Mulino Ed., Bologna, 1998 (Third Edition: 2001).
“Open Issues in European Central Banking”, Macmillan Ed., London, 2000 (with Daniel Gros).
“Chi ci salva dalla prossima crisi finanziaria?”, Il Mulino Ed., Bologna, 2000.