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Maribella Piana, scrittrice catanese | INTERVISTA

 

«Non credo che l’arte di scrivere si possa imparare. Si può certamente affinare, maturare, come tutti gli altri talenti, ma le parole, i loro ritmi e i loro significati, la loro forza e le loro suggestioni le devi avere dentro. Come un musicista sente il suono e le stonature di ogni strumento in una melodia, così lo scrittore deve sentire l’armonia nascosta delle parole.»

Maribella Piana
Maribella Piana

Ciao Maribella, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?

Come sorridendo mi ha definito un’amica, una “ancien prodige” che ha iniziato il suo cammino nella scrittura solo da poco.

 

Chi è Maribella nella sua professione e nella sua passione per l’arte della scrittura?

Io nasco come insegnante e tale rimango perché, come amo dire, gli insegnanti come i preti non vanno mai in pensione. Questo mi ha portato ad amare tutte le forme di comunicazione, dal teatro alla scrittura. Ma mentre nel teatro, teatro soltanto amatoriale ovviamente, comunico con tutto il corpo, nella scrittura devono essere le parole a vivere di vita propria. Probabilmente la scrittura ha appreso dalla recitazione la capacità di rivestirsi di suoni e colori, di carne e di sangue, di vivere insomma.

 

Recentemente hai pubblicato il tuo ultimo romanzo, “La malaeredità” edito da Armando Curcio editore. Ci parli di questo libro? Come nasce, quale l’ispirazione che lo ha generato, quale il messaggio che vuoi lanciare a chi lo leggerà e chi sono i lettori a cui hai pensato mentre lo scrivevi?

Questo romanzo doveva essere scritto. Ce l’ho nel cuore e nella testa da diverso tempo. Non potevo permettere che la storia bella e terribile di una donna del passato fosse dimenticata. E poi ci sono state delle coincidenze, che io non ritengo affatto tali, che mi hanno spinto a scrivere. Ho ritrovato in una vecchia casa di famiglia lettere, documenti, abiti, oggetti risalenti alla mia antenata. Una donna che, nel suo rifiuto di regole e ipocrisie è la personificazione del decadere di una società nobiliare ottocentesca. Naturalmente pagherà un prezzo altissimo. Non è facile affrontare il passato, capire da dove veniamo, comprendere gli errori. Ma, come in una seduta di psicoanalisi, questo ci fortifica e ci fa affrontare meglio il futuro.

Sei una scrittrice affermata e hai scritto diversi romanzi e libri. Ci parli delle tue opere e pubblicazioni? Da cosa sono nati questi romanzi e di cosa parlano?

I miei romanzi precedenti hanno in comune due cose: i giovani e la mia terra. Ne “I ragazzi della piazza” ho ripercorso le tappe della mia generazione nel difficile percorso di crescita. In “Cielomare” ho affrontato lo scontrarsi dei giovani con la realtà, soprattutto quando questa si rivela un terribile scherzo del destino. “Emma” poi, una bambina nera, che vive in un medioevo fantastico, mi è venuta in sogno. Ma tutti, compresi i miei racconti, vivono sulle rive del mio mare, fra le rocce di lava e profumano di gelsomino.

 

Maribella Piana
Maribella Piana

Qual è la tua formazione accademica e professionale? Come hai maturato l’arte di scrivere racconti, storie, romanzi…?

Come spesso accade, le cose importanti avvengono per caso. Io ho sempre scritto, iniziando come molti giovani dalle poesie, che mi hanno insegnato la concisione, il ritmo e la scelta ineludibile di una parola. Qualche anno fa, partecipando ad una trasmissione letteraria, ho ricevuto, con meraviglia e sgomento, le lodi di Elisabetta Sgarbi che ha deciso di pubblicare con la Bompiani il mio primo romanzo. Ho capito che potevo scrivere per il pubblico e da lì è cominciata un’avventura.

 

Quali sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?

Hai detto bene “possedere”. Perché non credo che l’arte di scrivere si possa imparare. Si può certamente affinare, maturare, come tutti gli altri talenti, ma le parole, i loro ritmi e i loro significati, la loro forza e le loro suggestioni le devi avere dentro. Come un musicista sente il suono e le stonature di ogni strumento in una melodia, così lo scrittore deve sentire l’armonia nascosta delle parole. Ogni aggettivo deve essere un’emozione, ogni virgola una pausa del respiro, ogni avverbio un cambiamento di prospettiva.

 

Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?

Per una ragione molto banale. La nostra lingua meravigliosa si sta perdendo. Nel semplificarsi sta abbandonando tutta la sua ricchezza. È una tristezza constatare che molti giovani hanno un ridotto bagaglio lessicale. Non possedere le parole significa non avere i concetti corrispondenti. Tutte le sfumature di un sentimento possono essere espresse con parole diverse e spesso le incomprensioni sono dovute alla banalizzazione dei termini. Mi piacerebbe poter dire che scrivo per non essere dimenticata, ma vorrei ancora di più che non fosse dimenticata la nostra lingua.

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?

Temo moltissimo questa domanda. Come se mi chiedessero di scegliere fra i miei figli. Io sono una lettrice onnivora e amo tutti i libri, anche quelli che non mi piacciono, perché da loro imparo quello che non si deve fare. Dei sudamericani, ad esempio, amo la creatività onirica, dei russi la forza delle passioni, degli inglesi l’humour sottile, degli italiani la presenza della realtà. Sono tutti miei figli, insomma.

 

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Maribella Piana

«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?

Io credo che la vita reale non si possa sostituire alla lettura. È troppo forte, troppo invadente, ci afferra per i capelli e ci costringe a vivere. La lettura è una chiave di comprensione che ci aiuta a vivere meglio, più consapevolmente, perché capire le vite degli altri ci fa capire noi stessi.

 

Charles Bukowski a proposito dei corsi di scrittura diceva … «Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di scrittura assai alla moda in questi ultimi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere?

Ho risposto prima a questa domanda. Possono servire ad imparare una tecnica, come si impara per la musica o la pittura. Sono una scorciatoia per coloro che non hanno la capacità e la voglia di lavorare su sé stessi per esprimere quello che hanno dentro.

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto?

Sarebbe meraviglioso se fosse così. Io dico spesso che vorrei essere una mosca per spiare le reazioni emotive dei miei lettori. Purtroppo ogni libro è un monologo, scritto in solitudine e in solitudine letto. Chi legge interpreta ed arricchisce con il proprio vissuto quello che un altro ha scritto, riversandovi la propria vita.

 

Una domanda difficile : perché i lettori di questa intervista dovrebbero comprare e leggere i tuoi libri? Dicci qualcosa che possa convincere i nostri lettori a comprare e leggere qualcuno dei tuoi libri.

Se li vogliono leggere ovviamente devono comprarli. Scherzo, ma scegliere di comprare un libro è un innamoramento. Non posso sperare di far innamorare qualcuno. Posso solo promettergli che nelle mie pagine troverà una voce vera, che parlerà anche di lui, che gli svelerà un angolo nascosto di sé che non pensava di conoscere, e che leggendo proverà emozioni e sentimenti vivi come nella realtà, come avviene nei sogni.

 

Se dovessi consigliare  ai lettori tre film da vedere e tre libri da leggere assolutamente, quali consiglieresti e perché?

È più facile per i libri. La storia  di Elsa Morante, Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo e Cent’anni di Solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Perché sono quelli che mi hanno dato più emozioni. Per i film non saprei, non sono una grande cinefila.

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai lavorando in questo momento e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?

In questo momento darei loro molto volentieri appuntamento in libreria. Ma spero che questo possa avvenire a breve. Forse per reazione, ho in mente un testo umoristico, che faccia il verso a certi aspetti della contemporaneità.

 

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?

Che mi ha fatto molto piacere parlare un po’ di me e delle cose che mi piacciono.

INTERVISTA di Andrea Giostra.

 

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