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Alessandro Tirotta, cantante lirico e direttore d’orchestra | INTERVISTA

 

 

«Mefistofele, l’italiano Alessandro Tirotta protagonista dell’opera di Boito a New York»

 

Alessandro Tirotta | Gigli 100 YEARS at The Met

 

 

Ciao Alessandro, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Alessandro artista, direttore e cantante lirico?

Grazie a voi per avermi coinvolto! Nasco in un contesto familiare fatto di Teatro e canto lirico, mio papà, che è anche il mio Maestro di canto, è un gran bel basso baritono, di quelli rari per intenderci. A quattro anni inizio gli studi pianistici per poi dedicarmi al violino. Tanti anni di attività da solista, in orchestra, gli studi di canto e i primi debutti importanti. Dopo la maggiore età iniziano le prime esperienze da Direttore di coro e subito dopo d’Orchestra, da qui gli studi di composizione e direzione e poi la facoltà di Musicologia all’Università di Roma Tor Vergata. Scrivo libri, scientifici e didattici, scrivo musica, insomma, una vita piena di esperienze sempre diverse ma ugualmente importanti, ed una vita consacrata all’attività da solista nel mondo della lirica e della direzione d’orchestra.

Chi è invece Alessandro nella sua quotidianità al di fuori del suo lavoro?

Nella vita privata sono prima di tutto papà di due bambini meravigliosi, Ennio e Gioele, che sono sempre al centro dei miei pensieri in ogni cosa che faccio. Vengo da una famiglia numerosa, ho due fratelli e due sorelle (un soprano e un mezzosoprano anche loro in carriera, Aurora e Chiara) e un bel rapporto coi miei genitori. Molti conoscenti e un numero importante di amici, quelli veri su cui posso davvero contare. Al mio fianco per ogni cosa, bella o brutta, del mio percorso artistico e non solo c’è Angela, la mia compagna alla quale devo tanto davvero, dopo l’esperienza pesante della mia separazione. A lei dedico questa mia intervista.

 

Come nasce la tua passione per la lirica e per la musica classica? Ci racconti come hai iniziato e quando hai capito che avresti fatto questa professione?

Vivendo in una famiglia di musicisti per forza di cose ti avvicini a questa arte. Crescendo poi ho capito che la cultura e la musica sono linfa per la mente e per l’animo, ed oggi, in un mondo che ci vuole sempre più social e che ci allontana gli uni dagli altri, l’arte, muove ancor più il bello che mi circonda. Volevo studiare oboe, mi è stato proposto il piano ma poi un’esperienza non proprio felice mi ha fatto deviare sul violino, da lì la passione e verso i 12 anni ho maturato la consapevolezza che volevo fare il musicista e che volevo essere tra i più bravi.

 

Alessandro Tirotta | Vecchia Zimarra | Tokyo

 

Alessandro, sai bene che in qualsiasi professione non basta il talento, ma per diventare veri professionisti serve apprendere le tecniche di lavoro e tanta disciplina nell’imparare ad utilizzare i “ferri del mestiere”, un po’ come si faceva nel Rinascimento italiano con i cosiddetti Maestri d’Arte. Qual è stato il tuo percorso formativo, professionale e artistico da questo punto di vista?

L’esercizio dello strumento musicale è un percorso che non ha eguali in nessun campo, se non al pari di quello di un atleta che si prepara per sette-otto ore al giorno per perfezionare la performance che si consuma in pochi minuti se non attimi addirittura, questo il mio percorso giovanile. Oltre che negli specifici strumenti, sono laureato in Musicologia all’Università, abilitato anche alle discipline umanistiche, e avendo affrontato i due percorsi, conservatorio (se pur da privatista) e università, posso di diritto affermare che lo sforzo fisico e mentale che prevede un serio percorso da musicista non ha equivalente in nessun percorso di laurea. L’esecuzione di una sonata, un concerto o un’aria prevede il 100% di correttezza formale, tecnica ed espressiva, si consuma nell’attimo che si vive e per questo deve essere il più possibile perfetta. Poi un musicista è condannato per tutta la vita ad un esercizio di mantenimento tecnico, il che ne fa da adulto una vera scelta di vita, un sacrificio che non rispecchia il “tanto è una cosa che ti piace” che spesso ci si sente dire.

 

Chi sono stati i tuoi Maestri? Le persone che vuoi ricordare in questa intervista e che ti hanno lasciato un segno nella tua vita artistica ma anche umana?

Ho avuto diversi maestri e da ognuno di essi ho ereditato qualcosa di buono e che mi ha formato. Ho avuto anche esperienze che non ho ritenuto valide per la mia formazione, ma penso che anche da quelle si apprenda qualcosa di utile. Sicuramente per il canto papà Gaetano, dal quale fortunatamente ho ereditato il colore di voce e che mi ha trasmesso delle basi tecniche solide, poi grandi esperienze le ho avute anche col contatto con grandi cantanti, tra i molti voglio ricordare Enzo Dara e Luciana Serra. Per il violino sicuramente Francesco Manara, primo violino del Scala, che mi ha insegnato ad affrontare il grande repertorio, senza dimenticare quelli con il quale mi sono formato da giovane, tra cui il Maestro Puccinelli. Trovare l’insegnante giusto da piccolo non è affatto facile. Ho avuto diversi Maestri per la mia formazione da direttore, tra tutti voglio ricordare però Bruno Aprea, per la sua signorilità nell’insegnare e per il suo saper fare e saper trasmettere da buon padre di famiglia. Poi da grandi direttori d’orchestra ho imparato direttamente sul campo con l’esperienza diretta, e in questi casi ho approfittato seguendo ogni passo di tutte le prove, per carpire il più possibile da ognuno i punti di forza. La formazione in Teatro con l’esperienza diretta è il vero anello di congiunzione tra la preparazione e la professione di un direttore d’orchestra. In ultimo, ma non ultimo, anzi, il mio grande Maestro di composizione e analisi musicale Robert W. Mann, grande uomo che oltre il suo enorme sapere mi ha trasmesso l’amore per questa professione e anche il giusto modo per saperla affrontare.

Chi sono stati, e chi sono, i tuoi modelli di cantante lirico e di direttori ai quali ti ispiri? Se ci sono, quali e perché?

Se devo essere sincero non ho mai avuto dei riferimenti particolari. Apprezzo ovviamente più alcuni cantanti o direttori d’orchestra di altri, ma non ho mai cercato di imitare nessuno. Sicuramente mi posso ispirare per qualcosa che mi affascina e che riconosco di gran spessore o effetto ma cerco di trovare la mia dimensione. Stimo molti grandi artisti, ma faccio solo un nome per non dilungarmi, perché è un gran Maestro vivente: Riccardo Muti. Quando affronto una partitura, soprattutto nella lirica, amo andare a fondo e trovare i giusti equilibri, il giusto peso e il senso drammatico di ogni frase e spesso di una sola nota, ed è quello che il Maestro Muti, col quale ho avuto il piacere di lavorare, realizza in modo spesso più dinamico e rispettoso di altri. Studio, rispetto e competenza, queste le cose in cui mi rivedo.

 

Alessandro Tirotta | Giuseppe Verdi | Nabucco | Sinfonia

 

Ci racconti qualcosa della tua carriera internazionale? Alcuni episodi che ami ricordare e altri che invece ti hanno deluso o sono stati dolorosi?

Vivere del mio lavoro vuol dire vivere la gente e di conseguenza viaggiare molto, e questa è una gran fortuna. A me ha permesso di conoscere quasi tutti i continenti e decine di paesi. Episodi deludenti o dolorosi fortunatamente non ne ricordo, quello più spiacevole lo sto vivendo proprio adesso, e con me tanti colleghi; questa situazione di pandemia purtroppo ha cancellato la maggior parte degli eventi culturali e quelli che si svolgono vivono in una continua incertezza fino all’ultimo. Di contro, episodi piacevoli ne ho tanti, ne ricordo uno in particolare. Mi trovavo ad Hamamatsu, in Giappone, per una tournee de La Bohème, e finita la splendida recita in una serata di pioggia, mi ritiro in albergo. Dopo più di un’ora scendo dalla mia stanza per andare a cenare e nella hall, completamente bagnato, trovo ad attendermi in piedi una persona del pubblico che appena mi riconosce si avvicina con un gran sorriso per chiedermi un autografo. Non ci sono parole per spiegare l’emozione che mi ha trasmesso questo gesto e allo stesso tempo in gran senso di responsabilità che ho capito di avere come artista.

 

Nel gigantesco frontale del Teatro Massimo di Palermo c’è una grande scritta, voluta dall’allora potente Ministro di Grazia e Giustizia Camillo Finocchiaro Aprile del Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, che recita così: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Tu cosa ne pensi di questa frase? Davvero l’arte e la bellezza servono a qualcosa in questa nostra società contemporanea tecnologica e social? E se sì, a cosa serve oggi l’arte secondo te, e l’arte della lirica e della musica classica in particolare?

Parto dalla tua domanda, ribadendo che l’arte e la bellezza servono, ma non nel senso consumistico che si può leggere tra le righe della parola “servire”. La società di oggi è prettamente opulenta, e vive di ogni cosa in maniera istantanea, trasformando tutto in effimero, che poi sia immortalato in una foto o in un post poco importa. I Teatri e le sale da concerto oggi a luci spente si trasformano spesso in piccoli cimiteri della cultura, con il pubblico che tiene costantemente in mano “il lumino” del cellulare acceso per poter condividere il momento con altri, senza accorgersi che il momento è già passato e non si è cavalcata l’onda dell’emozione. Prima si condivide oggi e poi se c’è tempo si vive un’emozione. Ecco, questo mi rattrista molto perché si sta perdendo l’abitudine ad appassionarsi, a convivere (e non condividere) i sentimenti con chi sta in palcoscenico ed è lì per “servire” i propri sentimenti e le proprie maestrie. È l’artista che condivide con il pubblico, non il pubblico con chi non è in sala o in teatro, a maggior ragione nel mondo della lirica e della musica classica, che per la loro fisicità cruda (restano infatti tra le poche forme di arte dal vivo che non necessitano di supporti tecnologici audio), arrivano in maniera diretta nel cuore e nello stomaco di chi ascolta e vede. Si dovrebbe ripartire dall’ascolto, a partire dai più giovani, che potrebbero segnare veramente una speranza di rinascita culturale.

«Non sono un politico, sono un musicista. Mi interessa dare alle persone un posto dove possono andare a divertirsi e ricominciare a vivere. All’uomo devi dare lo spirito, e quando gli dai lo spirito, hai fatto tutto». (Luciano Pavarotti, 1998). Cosa pensi di queste parole del Grande Maestro? Cosa pensi di dare tu al tuo pubblico quando dirigi o canti e ti esibisci?

Consegnare “lo spirito” al pubblico, come dice il grande tenore, vuol dire smuovere le coscienze e di conseguenza far pensare, e questo con un po’ di rabbia tra i denti, è proprio quello che non fa un politico nell’epoca odierna. Quando faccio musica, o cantando o attraverso altri musicisti, dirigendo, io consegno al mio pubblico intanto una parte di me, delle mie emozioni, dei miei pensieri, della mia empatia, e allo stesso momento rendo nuova vita all’eredità scritta dei miei datori di lavoro, tutti i compositori per i quali spendo gran parte delle mie giornate di studio. La musica è la forma d’arte più complessa perché ogni esecuzione è un ricreare qualcosa di inedito, di unico, di eternamente nuovo, ed è una relazione a due che si consuma nell’attimo che si vive. Questo è il valore aggiunto a questa professione, la condivisione di una parte di vita che non si replica se non in quell’attimo ma che resta nell’animo di chi l’ha vissuta. Ogni concerto o recita è un’esperienza ed un ricordo per me come lo è per chi mi ascolta.

«… è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l’ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato» (15 settembre 1984, Taormina). Ascoltando queste parole dell’immenso Eduardo de Filippo che disse nel suo ultimo discorso pubblico tenuto a Taormina, cosa ti viene in mente, cosa pensi della figura dell’Artista da questa prospettiva defilippiana, se vogliamo?

Per un musicista la vita è la musica e la musica è la vita. Entrambe nascono dal silenzio e dal nulla, e una volta cessato l’ultimo respiro tornano nel vuoto, fisico o metafisico che sia. L’Artista in questa prospettiva ha il compito importante di condurre l’esperienza umana in un percorso di autenticità spirituale, che porti ad una esaltazione dell’animo umano come massima espressione estetica. Arte però non è solo sentimento, come molti credono, ma è anche abilità, studio ed esperienza, quindi vero sacrificio. Anticamente “artisti” erano definiti soltanto i “maestri di umanità e filosofia”, poi è stata accostata anche alla figura di “homo faber”, cioè colui che crea, ampliando ai pittori, scultori, musicisti e poeti, questo per sottolineare il più alto prestigio intellettuale che è richiesto all’artista. Oggi c’è parecchia confusione tra cosa è arte e cosa distrazione o mera superficialità, e all’artista vero è sicuramente chiesto uno sforzo in più in tal senso.

 

Alessandro Tirotta | Il Gladiatore | Hans Zimmer

 

A cosa stai lavorando adesso? Vuoi raccontarci qualcosa in anteprima delle tue prossime Opere e dei tuoi spettacoli?

Ho tanti impegni e progetti per il futuro, ma non voglio dire troppo perché questa situazione di pandemia mi ha fatto cancellare o rimandare molti contratti, alcuni con pochissimo preavviso. Mi fa piacere però menzionare la mia collaborazione con Il Teatro Grattacielo di New York, col suo direttore artistico, il grande baritono Stefanos Koroneos, e La Camerata Bardi, organizzazione internazionale il cui scopo è quello di diffondere la cultura italiana nel mondo, a partire dalla lirica e dalla musica classica, ma non solo. Il mio impegno con essa non è solo da artista ma anche da docente, e posso dire che ci sono molti progetti ambiziosi in cantiere per il futuro. Doveroso è un ringraziamento ad Enzo Pizzimenti, italiano che vive in America e che è un instancabile sognatore ma soprattutto incarna la figura dell’ormai estinto mecenate, un imprenditore che sostiene e investe nel mondo della cultura e soprattutto della lirica, per amore dell’arte e del bello. Il 20 ottobre 2020 andremo in streaming con “Mefistofele” di A. Boito, io darò voce al protagonista, l’evento è stato creato in collaborazione con la fondazione “Beniamino Gigli” di Recanati per i 100 anni dal debutto del tenore italiano al Metropolitan di New York. Oltre questo, ed altri progetti per l’estero ed in Italia vorrei però anche menzionare le collaborazioni interessanti che ho nella mia regione, la Calabria, a partire da quella con l’orchestra della mia città ossia l’Orchestra del Teatro Cilea di Reggio Calabria, che ho il piacere di dirigere costantemente e mi permetto di dire che è una realtà italiana di gran valore, e poi la mia affettuosa collaborazione con l’Accademia Senocrito di Locri con la quale metto in scena produzioni raffinate spesso in prima esecuzione regionale o nazionale e della quale sono orgoglioso di esserne il direttore musicale.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Non sono un tipo molto social, ma per esigenza ho imparato a stare, ma solo un po’, nel mondo del network. Uso solo Facebook e YouTube, ma ho in previsione di aprire un sito personale, me lo chiedono in tanti.

 

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa intervista?

Bach diceva: “la musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”, io aggiungo che la musica lo può anche contrastare, e penso che oggi ce ne sia davvero bisogno.

di Roberta Cannata e Andrea Giostra

 

 

Alessandro Tirotta
 
Roberta Cannata
 
Andrea Giostra
 

 

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