Elsa Flacco, docente e scrittrice, presenta il suo libro “Per Francesco che illumina la notte” | INTERVISTA
«Leggere affina l’intelligenza e ci rende persone atte a comprendere la complessità del mondo, nella quale rischiamo di naufragare a ogni passo. Proprio attraverso i social ci rendiamo conto ogni giorno di quale handicap per i singoli e danno per la società rappresenti il cosiddetto analfabetismo funzionale, o di ritorno, contro il quale solo la lettura può difenderci» (Elsa Flacco)
Ciao Elsa, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori? Chi è Elsa scrittrice?
Ciao, Andrea, e grazie a te per l’invito e per l’opportunità di far conoscere i miei libri. Scrivo da sempre per passione; fino a qualche anno fa solo saggi, di letteratura, storia e arte d’Abruzzo. Da alcuni anni mi sto dedicando alla letteratura “creativa”, e devo dire che ci sto provando gusto.
…chi è invece Elsa donna nella sua quotidianità?
Una semplice prof di lettere al liceo scientifico di Guardiagrele, ai piedi della Maiella, che ama leggere, organizzare eventi culturali e andare in bicicletta.
Qual è la tua formazione professionale e letteraria? Ci racconti il percorso che ti ha portato a svolgere quello che fai oggi?
Mi sono laureata in Lettere all’Aquila un bel po’ di anni fa, ho subito vinto il concorso e da allora il mio lavoro è l’insegnamento. È una professione pervasiva, che coinvolge e informa di sé l’intera esistenza di chi vi si dedica, eppure non ho mai smesso di occuparmi anche di altro, soprattutto di ricerca, scrittura e volontariato in associazioni culturali e per i diritti.
Come nasce la tua passione per la scrittura? Ci racconti come hai iniziato e quando hai capito che amavi scrivere?
In realtà ho sempre scritto, da prima di laurearmi ho iniziato a collaborare a riviste letterarie e culturali a livello locale e regionale, ho partecipato a convegni anche internazionali come relatrice su argomenti riguardanti la letteratura abruzzese e ho scritto diversi saggi in volumi collettivi. Tutto questo fino al 2016, quando quasi per gioco ho scoperto la vena narrativa che fino a quel momento era rimasta in ombra. Da quel momento non ho più smesso di scrivere: finora due volumi di testi teatrali, un romanzo (più un altro in arrivo nel 2021) e una biografia, oltre a saggi storici in volumi collettanei, l’ultimo per la casa editrice CARSA sulla monetazione italica durante la Guerra Sociale.
Ci parli del tuo libro “Per Francesco che illumina la notte”? Come nasce, qual è il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quale la storia che ci racconti senza ovviamente fare spoiler?
L’idea per questo romanzo nasce nel 2016, un po’ per caso. Dopo il successo del testo teatrale Un palmo e mezzo sotto la terra, sulla tragica epopea dei briganti della Maiella, il mio primo libro di taglio narrativo, mi sono sentita pronta a cimentarmi con il genere principe della letteratura moderna, almeno a livello di pubblico potenziale di lettori. Non potevo che accostarmi al romanzo storico, visti i miei gusti e i precedenti come scrittrice. L’idea di far rivivere la figura di Tommaso da Celano nasce da alcune conversazioni con amici sulla suggestione che ancora esercita San Francesco e sul fascino immortale del Medioevo. Tommaso da Celano è abruzzese, e ho già sottolineato l’importanza che per il mio retroterra ha il richiamo all’abruzzesità, è stato il primo biografo di Francesco d’Assisi e ha una personalità intrigante e misteriosa, che lo rendeva protagonista ideale di un romanzo storico di ambientazione francescana. Raccontare la storia della sua vita, la storia di un testimone diretto dell’avventura di Francesco e della crescita irresistibile del movimento da lui fondato, mi ha permesso di tratteggiare un vasto affresco delle vicende spirituali e politiche della prima metà del Duecento, delle lotte interne ai francescani e tra il Papato e l’Impero, rappresentato dalla figura eccezionale di Federico II. Proprio l’imperatore, con papa Gregorio IX, il mitico frate Elia, madonna Jacopa de’ Settesoli, oltre a Tommaso, Francesco e altri personaggi reali e immaginari, costituiscono gli “attori” di un dramma movimentato e avvincente che ha incontrato il favore dei lettori.
Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre lo scrivevi?
Ho cercato di scrivere un romanzo allo stesso tempo rigoroso e coinvolgente, prestando attenzione alle concordanze storiche ma privilegiando l’aspetto romanzesco, usando un linguaggio vivido, preciso ma scorrevole, con l’ambizione di avvicinare alla storia un pubblico vasto, pensando soprattutto, non lo nego, a un target giovanile. Ho scritto pensando ai miei alunni di liceo, ragazzi sempre più impermeabili al fascino della lettura. Non credo di aver raggiunto il mio obiettivo: dai riscontri avuti dai lettori, sembra che siano in maggioranza adulti; di ogni età, ma pochi under 25, e su questo aspetto cercherò di migliorarmi.
Una domanda difficile, Elsa: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “Per Francesco che illumina la notte”? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarlo.
Credo che sia un libro piacevole, non noioso, a suo modo avventuroso, con un risvolto sentimentale e uno giallo che lo rendono appetibile anche a chi non ama particolarmente il genere del romanzo storico. Ho cercato di costruire una vicenda capace di restituire la complessità di un’epoca affascinante e terribile, prestando attenzione soprattutto alla psicologia dei personaggi, all’insegna della dinamicità e della verosimiglianza. Vorrei precisare che la pubblicazione del romanzo risale ormai a tre anni fa e presso l’editore le copie sono esaurite. È possibile ordinarlo su Amazon o contattare direttamente la sottoscritta, sulla pagina Facebook o via mail, all’indirizzo elsaflacco@gmail.com .
C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare questa opera letteraria? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?
Il primo ringraziamento va alla casa editrice Oakmond Publishing e a Giada Trebeschi, che ha creduto fortemente in questo libro, uno dei primi da loro pubblicati e che ha ripagato le attese. Ringrazio poi la mia famiglia per il sostegno e i preziosi consigli, i primi lettori e gli amici, anche scrittori, che con i loro suggerimenti mi hanno aiutato a migliorare l’”appetibilità” del romanzo.
Nella tua attività letteraria hai pubblicato altri libri e romanzi. Ci racconti quali sono, di cosa trattano e quale l’ispirazione che li ha generati?
Sorvolando sui numerosi articoli e saggi che ho pubblicato fin dal 1990 su molte riviste e volumi, e limitandomi ai libri di taglio “creativo”, il primo è il testo teatrale Un palmo e mezzo sotto la terra, pubblicato nel 2016 e rappresentato più volte con la regia di Veronica Pace, tratto da una storia vera degli anni del brigantaggio post-unitario nella zona della Maiella: protagonisti un brigante, una madre e un giudice napoletano. Poi, dopo il romanzo Per Francesco, che illumina la notte, ho pubblicato nel 2019, per la Libreria Musicale Italiana, Giuseppe Dell’Orefice. Un canto interrotto sulla scena napoletana dell’Ottocento, frutto di tre anni di ricerche archivistiche in conservatori e teatri su e giù per l’Italia: la biografia avventurosa e drammatica di un musicista abruzzese che incontra successi e tragedie in una Napoli musicale fastosa e torbida, brillante e spietata. In appendice alla biografia è pubblicato il primo catalogo delle opere del compositore, un lavoro nel lavoro. Grazie all’attività dell’Istituto Giuseppe Dell’Orefice, fondato dai pronipoti del musicista e di cui mi onoro di far parte, questo lavoro è stato presentato a Roma nel dicembre 2019 a palazzo Altieri con l’intervento di autorità e figure istituzionali di rilievo. Successivamente sono tornata a scrivere per il teatro, pubblicando nel 2020 con Maurizio Colasanti, compositore e direttore d’orchestra, Tre racconti per il teatro. Fondazione 139, Gli aquiloni di Zuara, La coda, edito da Chiaredizioni, il cui ultimo testo, La coda, è stato portato in scena nell’estate 2020 con la regia di Fabio Di Cocco e le musiche originali dello stesso Colasanti. Nel 2021 vedrà la luce il mio secondo romanzo, su cui però preferirei non “spoilerare” nulla.
«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?
Acuta la riflessione di Proust, ma, se posso permettermi di criticare un pensatore immenso quale lui è stato, non più attuale. Se centoquindici anni fa la sua preoccupazione poteva dirsi fondata, quella cioè che la lettura potesse indurre le menti più fragili alla passività e ottundere o almeno deviare le qualità dell’intelletto e dell’animo, un po’ come accade a Emma Bovary, con l’avvento di una contemporaneità protesa verso lo spettacolo a tutti i costi, le nuove tecnologie, il cinema, la televisione e soprattutto con l’era digitale, la lettura rappresenta al contrario una palestra per la mente. Con tutto il suo genio, Proust non poteva prevedere che dopo un secolo si sarebbero affermate forme molto più pervasive e avvolgenti di fiction, capaci davvero, in qualche caso, di sostituirsi alla realtà del vissuto individuale. No, oggi i libri svolgono una funzione opposta a quella paventata dal maestro Proust: attivano l’immaginazione, potenziano la memoria, aprono la mente offrendo scenari innumerevoli di arricchimento intellettuale e spirituale, per usare la terminologia proustiana. Leggere affina l’intelligenza e ci rende persone atte a comprendere la complessità del mondo, nella quale rischiamo di naufragare a ogni passo. Proprio attraverso i social ci rendiamo conto ogni giorno di quale handicap per i singoli e danno per la società rappresenti il cosiddetto analfabetismo funzionale, o di ritorno, contro il quale solo la lettura può difenderci.
«Nei tempi andati la vita degli scrittori era più interessante di quello che scrivevano. Al giorno d’oggi né le loro vite né quello che scrivono è interessante.» (Charles Bukowski, “Pulp. Una storia del XX secolo”, Giangiacomo Feltrinelli Ed., 1995, Milano, p. 52). Ha ragione Bukowski a scrivere queste cose a proposito degli scrittori contemporanei? Cosa ne pensi in merito?
Bukowski è provocatorio come al solito, la sua mi sembra piuttosto una battuta. Nel passato come nel presente, ogni generalizzazione è fuorviante: sono esistiti ed esistono scrittori dalla vita interessante, esaltante, scialba o tragica, la vita è un caos casuale per ogni individuo, scrittori compresi. Se poi ci spostiamo alla seconda parte dell’aforisma bukowskiano, la stroncatura senza rimedio che esprime appare altrettanto ingiustificata, se non come, appunto, boutade. Divertente, ma senza serio fondamento. Né d’altra parte immagino che il suo autore abbia voluto darglielo, un fondamento. La serietà, poi, mi pare un atteggiamento quanto mai lontano dalla postura esistenziale e letteraria di un personaggio come Bukowski.
«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero.
Forse è inevitabile che la nostra sensibilità senta più prossimo il pensiero di Proust rispetto a quello di Cartesio, al quale mi viene spontaneo associare il celeberrimo passo della lettera di Machiavelli a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513, dunque oltre un secolo prima del Discorso di Cartesio: «[…]Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.» Parole indirizzate a un amico, commoventi nella loro sofferta sincerità, se consideriamo la situazione esistenziale che le ha prodotte e sui cui non mi soffermo. Lettura come conversazione con i grandi del passato, dunque, come vissuta da Machiavelli e Descartes, oppure “pensiero nella solitudine” che consente di “lavorare su noi stessi” come sostenuto da Proust? Impossibile optare per l’una o l’altra definizione della lettura: siamo costretti ad accoglierle entrambe, a godere del privilegio di intrattenere un dialogo con i grandi scrittori, o anche meno grandi, di tutti i tempi, dall’antichità fino all’altroieri, risorsa incommensurabile, emozione che tutti noi abbiamo provato tante volte al cospetto di autori affini o al contrario stimolanti per la loro alterità; allo stesso tempo leggere è sempre alimentare la propria mente, assaporare in solitudine quel nutrimento intellettuale e, perché no?, spirituale che ci arricchisce dentro e ci rende sempre più consapevoli della nostra fragilità. Pensiamo a un poeta come Leopardi, a un romanziere come Dostoevskij, ma potrei fare centinaia di nomi: chi di noi non li ha mai sentiti fratelli nel dolore o nel tormento o nell’estasi? E anche i “leggeri”, che ci aiutano a sorridere delle nostre debolezze: Gianni Rodari, Achille Campanile, il Jerome di Tre uomini in barca, qualche Guareschi. Anche loro hanno un posto importante nella nostra esperienza di lettori, anche loro hanno contribuire a forgiare la nostra identità.
«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?
Prima di rispondere, permettimi di complimentarmi con te per il livello delle questioni che stai ponendo, uno stimolo a interrogarmi sulle ragioni profonde alla base delle mie scelte di vita, oltre che dell’ispirazione alla scrittura. Come moltissimi italiani, ho una venerazione per Giovanni Falcone e il suo modo di intendere la professione e l’esistenza stessa, con “spirito di servizio”, per usare una sua espressione. Con tutti i miei limiti e debolezze, come visione e prospettiva ideale condivido l’idea di Falcone sulla necessità, sul dovere di andare fino in fondo nelle proprie azioni e nel proprio impegno, che sia professionale o personale. Al fato non credo minimamente, e al concetto di fortuna sostituisco quello di “caso”. Temo che sia il caso a decidere in ultima battuta la nostra sorte, ma senza dubbio la volontà, il talento, l’impegno concorrono nel determinare quella parte della nostra vita che dipende dal nostro carattere e dalle nostre decisioni. Da parte mia, ce la sto mettendo tutta.
«…anche l’amore era fra le esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia della ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso senza fondo.» (Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, Volume primo, p. 28, Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi di questa frase di Robert Musil? Cos’è l’amore per te e come secondo te è vissuto oggi l’amore nella nostra società contemporanea?
È qui che il mio materialismo vacilla. In effetti la passione amorosa è quanto di più vicino ci sia all’estasi e alla perdizione. Innamorati, perdiamo la cognizione della realtà, il senso della misura, la logica del cosiddetto buonsenso, e questo è meraviglioso. Quando torniamo all’hic et nunc ci sorprendiamo di come abbiamo agito e di cosa siamo stati capaci di fare durante quella parentesi di obnubilamento terribile e favoloso. Una volta in un romanzo, mi sembra che fosse L’americano tranquillo di Graham Greene, ma potrei sbagliarmi, lessi una frase che mi colpì e ci penso ancora adesso, sul fatto che l’amore è un’invenzione della civiltà occidentale, e ad esempio in Estremo Oriente, dove è ambientato il romanzo, l’amore romantico come l’intendiamo noi non si concepisce. Una osservazione che porta a riconsiderare l’amore come una passione eterna che è nata e morirà con l’umanità. Pensare che invece sia un portato culturale anziché antropologico suscita un certo malessere, mette in crisi le nostre certezze. Detto ciò, siamo figli della nostra cultura e l’amore resta per noi l’esperienza più sconvolgente che possiamo provare in questa nostra insensata e caotica esistenza. Un sentimento che ha ispirato e sostanziato creazioni immortali dell’arte, della poesia, della letteratura, della musica. Non potremmo mai rinunciare alle sue gioie e ai suoi affanni.
Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?
Credo che come per tutte le passioni della vita, l’adolescenza sia l’età in cui si forma il nostro gusto anche in ambito letterario. Nel corso dell’esistenza conosceremo centinaia di altri scrittori, di altre opere, ma le letture che ci hanno formato e che portiamo dentro di noi risalgono agli anni incantati e tormentosi della crescita, quando tutto appare ingigantito e le nostre facoltà sono tese allo spasimo. In quegli anni ho avuto la fortuna di imbattermi nei capolavori di Dostoevskij, e considero I fratelli Karamazov il romanzo della mia vita, che non cesso di rileggere e che continua a dirmi cose nuove dopo quasi quarant’anni da quando l’ho aperto la prima volta. Poi, gli scrittori che amo sono tanti, di ogni genere e livello, con predilezione per i romanzi classici e moderni, e tra quelli di genere i gialli, i noir e gli storici. Tra i contemporanei ammiro Natalia Ginzburg e Italo Calvino, Umberto Eco e James Ellroy, mi piacciono Scurati e Camilleri, i thriller di Stieg Larsson ed Henning Mankell, Fred Vargas e Alicia Gimenez-Bartlett. Leggo saggi storici per conoscere, per prepararmi ai romanzi futuri, e leggo per evasione gli autori che mi coinvolgono emotivamente e mi divertono.
Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere in questo inverno di confinamento dicendoci il motivo del tuo consiglio.
Riallacciandomi ai nomi che ho appena citato, e se ho ben capito di dover indicare tre libri e tre autori anche di libri differenti, limitandomi a quelli che mi vengono in mente in questo momento tre le migliaia di libri che ho amato, direi come autori un gigante come Dostoèvskij e due contemporanei stratosferici come James Ellroy e Joe Lansdale; come libri Il tempo migliore della nostra vita di Antonio Scurati, Il nome della rosa di Umberto Eco, Il buio oltre la siepe di Harper Lee. Ovviamente tra un minuto me ne verranno in mente altri, ma il gioco implica una quota di casualità. Motivare i miei consigli di lettura non è facile, sono totalmente soggettivi e arbitrari, attengono alla sfera del gusto: sono autori e libri che mi hanno formato, mi hanno colpito, mi hanno divertito, istruito, commosso, esaltato, profondamente emozionato.
E tre film da vedere assolutamente? Perché proprio questi?
Qui passiamo a un terreno per me più insidioso: non mi intendo di cinema, ho visto pochissimi film nella mia vita, non sono in grado di riconoscere i capolavori, i registi reputati grandissimi mi annoiano proprio per la mia inadeguatezza nel decifrare il linguaggio cinematografico. Perciò navighiamo nella pura soggettività. Mi piacciono da matti, tra i pochi che conosco, Amadeus di Milos Forman, Frankenstein Junior di Mel Brooks e Psycho di Alfred Hitchcock: il primo mi emoziona, il secondo mi diverte, il terzo mi elettrizza.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?
Di progetti ne ho diversi, sia letterari sia più in generale culturali. Mi sto preparando, con studio matto e disperatissimo, al prossimo romanzo che ho in mente di scrivere: dopo il medioevo di Per Francesco, che illumina la notte e l’antica Roma del romanzo pronto per la pubblicazione nel 2021, mi immergerò in un periodo drammatico della storia del Novecento, ma per il momento non voglio svelare di più. Al di fuori dell’ambito strettamente letterario, ho diversi progetti che sto portando avanti con associazioni culturali di cui faccio parte, con un occhio anche alla politica, perché alla fine le scelte che vanno fatte in campo culturale sono scelte politiche. Insomma, cerchiamo di muoverci in un periodo difficile ponendo le basi per la ripresa di tutto quello a cui abbiamo dovuto rinunciare in questi mesi.
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?
Vorrei ringraziare te, Andrea, ancora una volta e tutti coloro che saranno arrivati in fondo a questa chiacchierata, sperando di non averli eccessivamente tediati. Mi auguro di essere riuscita a infondere un po’ di fiducia nel futuro prossimo e vorrei concludere con un suggerimento, per trascorrere queste settimane senza cadere nella noia o nello scoraggiamento: approfittiamo di questa pausa dalle incombenze più frenetiche del quotidiano per riavvicinarci alla lettura. I libri ci fanno compagnia sempre con le loro storie, sono amici insostituibili e ciascuno di noi ha la possibilità di scegliere tra infinite narrazioni capaci di condurci in ogni tempo e angolo di questo pianeta e non solo. Non perdiamo l’occasione per riavvicinarci a un mondo che forse apparteneva alla nostra infanzia e adolescenza e abbiamo con gli anni dimenticato. Buone letture, amici, e buona fortuna, speriamo di ritrovarci presto faccia a faccia, finalmente.
INTERVISTA di Andrea Giostra
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