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Nero di seppia

“Hunger Games – La ragazza di fuoco” (2013), di Francis Lawrence


Argomenti: Andrea Giostra, Francis Lawrence, Film, Recensione, Scrivonline.

Titolo originale: The Hunger Games: Catching Fire

Regia: Francis Lawrence

Produzione: Universal Pictures

Sceneggiatura: Simon Beaufoy e Gary Ross

Musiche: James Newton Howard

Attori: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Lenny Kravitz, Philip Seymour Hoffman, Jeffrey Wright, Stanley Tucci, Donald Sutherland, Willow Shields, Sam Claflin, Lynn Cohen, Jena Malone, Amanda Plummer, Paula Malcomson, Meta Golding, Bruno Gunn, Alan Ritchson, Stephanie Leigh.

La spettacolarizzazione della violenza estrema in un reality futurista, potente strumento di controllo delle masse in un futuro post-apocalittico in cui una minoranza borghese e opulenta, che vive nel lusso e nello spreco, domina su un popolo sottomesso e affamato di pane e di emozioni.

Lo strumento del potere non è più lo sport, le telenovele, o i reality con “artisti” dimenticati o “già comete” che vengono opportunamente riesumati ed incipriati per attirare e monopolizzare l’attenzione dei Peeping Tom televisivi che aspettano impazienti e spasmodici di piazzarsi eccitati davanti alla TV e sperimentare emozioni mediate e vissuti di protagonisti addestrati allo show.

Un popolo, secondo questa prospettiva, ridimensionato ad essere semplice voyeurista catturato e sbalordito da pirotecnici e violenti imprevisti centellinati da un occulto Big Brother, come profeticamente anticipato dal grande George Orwell nel 1950 con il famoso best seller “1984”.

Nella società futurista rappresentata nel primo episodio della trilogia da Gary Ross, e in questo secondo episodio da Francis Lawrence, il controllo avviene attraverso un reality in cui la violenza, il sangue, l’omicidio, la sopraffazione, la cattiveria, la prepotenza, diventano strumento efficace di controllo e di potere. I primi due episodi della trilogia, nella costruzione e nella scenografia, sono certamente influenzati dai più noti e originali “The Thruman Show” (1998) di Peter Weir, “Battle Royale” (2000) di Kinji Fukasaku, “Mindhunters” (2005) di Renny Harlin, “The Condemned” (2007) di Scott Wiper, “Predators” (2010) di Nimród Antal.

Come il primo, anche il secondo, assai migliore del primo, non è un gran film, ma, per l’importanza del tema sociale trattato, vale certamente la pena vederlo.

ANDREA GIOSTRA

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