Valentina Neri, scrittrice e poetessa, ci presenta il suo libro di poesie “Nomadesimo” | INTERVISTA
«Non mi aspetto di piacere a tutti o di essere completamente compresa, soltanto che si colga l’audacia di questo modo di donarsi in totale verità»
Ciao Valentina, benvenuta e grazie per avere accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Come una poetessa che decanta un esistenzialismo completo, dando molto spazio all’eros raffinato ma anche al misticismo, agli incanti esoterici, alle problematiche civili e sociali. Oltre a ciò mi sperimento come una scrittrice a tutto tondo, in quanto scrivo anche racconti, romanzi, sceneggiature, articoli di critica d’arte, letteratura e cinema; in questa mia ricerca la cosa fondamentale è sviluppare la capacità di essere vera poiché la cosa fondamentale sia per chi scrive, tanto per chi legge, è la credibilità che è quella che poi ti risucchia nell’emozione e sfiora le corde dell’intimità del lettore.
Come nasce la tua passione per la scrittura? Ci racconti come hai iniziato e quando hai capito che amavi scrivere?
Fin dalle scuole elementari venivo gratificata dalla mia maestra per le mie capacità: fantasia, senso della sintesi, apertura verso il lettore, scrittura accattivante, voglia di raccontare. Ricordo che portava i miei temi in giro per le aule per farli leggere alle altre maestre e insisteva sul fatto che, da grande, dovessi scrivere. Ma solo gli eventi della vita, quelli più esplosivi, mi hanno dato la spinta giusta per tirar fuori sentimenti diventati ormai incontenibili che sublimavo attraverso la scrittura. In questo spazio c’è la grande lezione della lettura sia poesia che romanzi. Leggevo finché, certe frasi, certe poesie, non facevano parte della mia anima e il segnale che questo si era adempiuto era quando la memoria mi dimostrava di aver assimilato quei brani che amavo e che ancora ricordo.
È stato appena pubblicata la tua ultima raccolta di poesie che hai intitolato “Nomadesimo”. Ci racconti come nasce questo libro, qual è l’ispirazione che lo ha generato e di cosa narra?
Fondamentalmente è il cuore a essere nomade, per cui il mio “Nomadesimo” ha una forte connotazione erotico/amorosa e pone l’accento sul poliamore, ossia la possibilità di accogliere più forme d’amore contemporaneamente che possano appagare, in un mosaico di affetti, tutte quelle che sono le esigenze del sentimento e che passano attraverso il canale dell’eros completandoti, a volte, anche con uno scambio di sguardi o con la sensazione di un pensiero che arriva da lontano. Ma non è tutto qui. Il libro è anche un inno all’errore come traguardo dell’anima, ricco di deliri mistico-religiosi impregnati di sincretismi esoterici.
Cosa devono aspettarsi i lettori che leggeranno il tuo libro e quale il messaggio che vuoi lanciare loro?
Di entrare nelle mie stanze proibite, nel mio lato oscuro, dove non mi giudico e non giudico, dove mi limito ad aprire una porta dove gli scheletri sono tutti fuori dall’armadio e io mi offro in una visione cruda a chi vuole emozionarsi davanti a questo coraggio spietato di esporsi. Non mi aspetto di piacere a tutti o di essere completamente compresa, soltanto che si colga l’audacia di questo modo di donarsi in totale verità.
Una domanda difficile Valentina, perché i nostri lettori dovrebbero acquistare “Nomadesimo”?
Potrei definirla una lettura che potrebbe essere eccitante e tagliente, forse emozionante. Si tratta di un tipo di poesia che, in certo senso, racconta per immagini, quindi è un po’ come guardare un film. Se ami quel genere vai a vederlo al cinema. In questo caso compri il libro.
C’è qualcuno che vuoi ringraziare per la realizzazione di quest’opera? Se sì, chi sono queste persone e perché ti senti di ringraziarle pubblicamente?
In effetti è l’unico libro in cui non ho inserito ringraziamenti. Avrei certo messo in imbarazzo qualcuno. Ringrazio Mauro Macario, grande poeta, che ha scritto una prefazione autentica e viscerale che rispecchia veramente il cuore del libro. A Mauro Ferrari e Cristina Daglio, gli editori di Puntoacapo Editrice che hanno creduto in questo libro e di cui apprezzo la raffinatezza accurata dell’edizione. Giuliano Grittini, grande artista, a cui devo l’immagine di copertina che mi ritrae in una maniera armoniosa col testo. La poetessa e critica letteraria Cinzia Demi che mi ha suggerito questa Casa Editrice e Marco Parodi, un regista di Genova che da anni viveva a Cagliari, un personaggio di alto spessore culturale, scomparso recentemente, che conosceva queste poesie e mi ha rafforzata coi suoi apprezzamenti e deduzioni a credere in questo lavoro e, con lui, tutti i miei lettori, che amando il mio lavoro, mi stimolano a continuare a scrivere. E naturalmente mio marito Gianni Marilotti che mi è sempre molto vicino e che della vita mi ha insegnato tanto e a cui devo tanto, che mi lascia dire e fare permettendomi la piena libertà di esprimermi che la condivida o no. Cosa per niente scontata se non si è dotati di grande rispetto e intelligenza.
«Quando la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare. Ma diventa pericolosa quando, invece di risvegliarci alla vita individuale dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, così che la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo con il progresso interiore del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, raccolto infra le pagine dei libri come un miele già preparato dagli altri e che noi non dobbiamo fare altro che attingere e degustare poi passivamente, in un perfetto riposo del corpo e dello spirito.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Qual è la riflessione che ti porta a fare questa frase di Marcel Proust sul mondo della lettura e sull’arte dello scrivere?
Credo di non correre questo rischio. Qualsiasi autore deve trovare dentro di sé la propria cifra unica e irripetibile da qualsiasi altro. È necessario leggere tanto anche per allontanarsi da qualsiasi possibilità di doppiare il già detto e il come viene detto. Le strade della scrittura e della lettura sono infinite anche perché diventano qualcos’altro agli occhi di ogni diverso lettore.
«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale e accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?
Tutte e due in ugual misura: la lingua, a seconda di come viene usata, può rendere affascinante qualsiasi storia e una storia, se è bella, può penetrarti il cuore anche scritta nel modo più semplice del mondo.
«Il ruolo del poeta è pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta, per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n. 4, March 1963, pp. 1-7). Qual è la tua idea in proposito? Cosa pensi del ruolo del poeta nella società contemporanea?
In realtà io credo che un poeta possieda la grande ricchezza di saper trasmettere sé stesso e forse per questo non è reale, non è tutto d’un pezzo; è fragile, è creta molle; per questo, con le parole, se è tale, arriva dove vuole come appunto Bukowski che io amo da morire. La poesia contemporanea ha dei problemi che non sono affatto l’assenza di grandi poeti ma l’indifferenza dei media nei confronto di questo prodotto che viene messo nell’angolo, la scuola che non si aggiorna e il fatto che continua ad accadere che spesso il tuo tempo non è pronto a capirti.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?
Ho un romanzo in lettura, ironico-erotico ma anche molto pregno di implicazioni psicologiche, due mistery da completare e alcuni sceneggiature in cerca di produzione e anche la scrittura di qualche saggio. Di recente ho firmato un libro opera d’arte dedicato al cinquecentenario di Raffaello che si intitola “Italia Opera Unica”, un prodotto di altissima qualità in cui è compresa tutta la Storia dell’arte italiana compreso il cibo, il cinema e le tradizioni popolari che mette in luce quanto le contaminazioni culturali abbiamo arricchito la nostra penisola. L’opera è a cura dell’Associazione Memoria dell’Arte. Inoltre sta per uscire una breve raccolta di poesia associate a delle opere d’arte di Antonello Dessi e Giuseppe Correra su un’ipotetica apocalisse legata ai cambiamenti climatici che abbiamo intitolato “No name”, un esperimento di sinestesia molto ben riuscito.
Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre film da vedere e tre libri da leggere assolutamente, quali consiglieresti e perché?
Naturalmente escludo titoli epici noti a tutti. In quanto ai libri suggerirei “Trilogia della città di Kappa” di Agota Kristòf perché è di una crudezza agghiacciante che sa turbare la mente. Le poesie di Bukowski perché gli scorre il sangue nella penna e “La casa degli spiriti” di Isabelle Allende che, aldilà di tutte le debolezze umane, ti fa capire davvero cosa è una dittatura, benché sia una lettura all’apparenza priva di una nettezza spazio-temporale, si riferisce al golpe di Pinochet avvenuto in Cile nel 1973. Per quanto riguarda i film partirei da “Le vite degli altri” firmato Von Donnersmarck che racconta la storia di un agente della Stasi che spia una coppia per motivi politici fino a comprendere le illegittimità che gli abitanti Berlino Est subivano in quegli anni, durante la guerra fredda. Poi “Stille lIfe” di Uberto Pasolini, la storia di uno strano impiegato comunale americano che va in giro a ritrovare qualcuno da portare alle funzioni funebri di gente che sembra dimenticata da Dio. Lui studia la loro vita e riesce sempre a capire le loro storie e a portare qualcuno a questi funerali. Il finale a sorpresa mi ha veramente commossa. Specchio perfetto della nostra società e capace di emozionare il pubblico sul filo di un nuovo neorealismo aggiungerei anche “I migliori anni” la pellicola più riuscita di Gabriele Muccino uscita nelle sale in un momento poco fortunato.
Come vuoi concludere questa chiacchierata e come vuoi lasciare i lettori che leggeranno questa intervista?
Vogliosi di scoprire sempre quei lati di se che non sanno nemmeno di avere e che la vita, prima o poi, ti costringe a tirar fuori e a farti capire che puoi andare oltre ciò che credevi di essere, nel bene e nel male.
INTERVISTA di Andrea Giostra