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Linda Tumbarello, giornalista e scrittrice, presenta il suo ultimo libro “Se il vento potesse parlare” | INTERVISTA

 

 

«Racconto quasi in punta di piedi di un marito narcisista e di una moglie costretta a subire. Mi piace aggiungere che tutto, nel mio romanzo, è colore. Albe, tramonti, mulini al vento e laguna, spiagge e feste: tutto è dominato dai colori così come su ogni cosa domina il vento che travolge e stravolge» (Linda Tumbarello)

 

Ciao Linda, bentornata e grazie per aver accettato il nostro invito.

Ho accettato con vero piacere.

 

Ci parli del tuo ultimo libro “Se il vento potesse parlare”? Come nasce, qual è il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quale le storie che ci racconti senza ovviamente fare spoiler?

Certamente. Innanzi tutto devo precisare che questo libro fa parte della “Trilogia del tempo” e segue “Tutti i giorni che verranno” che è la prima parte. Quando ho finito di scrivere la prima parte, non pensavo di fare una saga familiare, ma più il tempo passava, più avevo nostalgia di quei personaggi e lasciarli al proprio destino, per me, era intollerabile. Così spinta anche dai lettori che chiedevano il seguito della storia, ecco nascevano trame e nuovi intrecci; scenari e luoghi diversi; vicende, spesso, paradossali dei vecchi personaggi e poi nuovi amori, passioni sopite dal tempo a cui davo altri risvolti e ancora feste paesane, balli e serenate e tematiche attuali come quella della violenza alle donne. Con garbo, per non umiliare. Racconto quasi in punta di piedi di un marito narcisista e di una moglie costretta a subire. Mi piace aggiungere che tutto, nel mio romanzo, è colore. Albe, tramonti, mulini al vento e laguna, spiagge e feste: tutto è dominato dai colori così come su ogni cosa domina il vento che travolge e stravolge. Persino gli umori! Scrivendo Se il vento potesse parlare ho riso, pianto, sorriso; ho cercato di immedesimarmi nei personaggi per comprenderli come se io fossi il lettore e non l’autore. L’ho amato come ama una madre: sconsideratamente. Infinitamente!

Cover - Tutti i giorni che verranno
Cover – Tutti i giorni che verranno

Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre lo scrivevi?

Quando scrivevo dei personaggi, dei loro segreti e delle loro vite, pensavo ai miei avi, ai nonni e a tutte le loro fatiche, dal dopoguerra in poi per tramandarci la campagna in cui io e i miei familiari abbiamo trascorso gran parte della nostra vita, in armonia. Perciò ho immaginato i nonni innanzi tutto e a loro è andata una delle mie dediche. Ho immaginato anche i miei genitori e il resto della famiglia che aveva, in quel luogo, un punto di riferimento, un solido legame con il passato. C’è dunque gran parte della mia infanzia in questo libro in cui il racconto “naviga” fra realtà e fantasia.

 

Una domanda difficile Linda: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “Se il vento potesse parlare”? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarlo.

Una bella domanda questa. Allora ti chiedo: quale autore vorrebbe non avere un lettore? Io vorrei che fossero in tantissimi a comprare il mio romanzo e soprattutto ad emozionarsi, leggendolo. Proveranno emozioni vere quali: amore, rabbia, perdono, ansie ma anche curiosità di sapere, di scoprire cosa si cela davanti a certe realtà raccontate; e sorriderà, perché ovunque si nasconde una pena c’è dietro un sorriso. Sempre. Io dico che vale la pena leggerlo e fantasticare. Si fantastica poco, oggi, preferendo seguire certe app che alla fine impoveriscono la fantasia di ognuno. Dovremmo apprezzare maggiormente le letture al posto di quelle, senza negare, comunque, l’importanza  dei media.

 

 

C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare questa tua ultima opera letteraria? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?

Sono in tanti quelli che dovrei ringraziare: tanti amici lettori e familiari. Tutti loro mi hanno dato supporto incitandomi non solo a continuare a scrivere, ma mi hanno consigliata e stimolata al bisogno. Sono le mie amiche del cuore e i miei parenti, le persone che ringrazio ed è a loro che dedico il mio libro. 

 

Nella tua attività letteraria hai pubblicato altri romanzi. Ci ricordi quali sono e di cosa parlano?

Precedentemente ho pubblicato: Tutti i giorni che verranno che in sostanza è il primo volume della trilogia del tempo che sto per ultimare. È la storia complessa di Marta, la giovane protagonista che, alle prese con una terribile malattia, si innamora proprio del suo chirurgo. Così fra patemi d’animo, legami con altri personaggi e conflitti familiari, poi superati, riesce a sconfiggere la malattia e a realizzare il suo sogno d’amore. Alla fine del romanzo il monito alla vita e il rispetto per essa.

 

Linda Tumbarello
Linda Tumbarello

Se casualmente ti ritrovassi in ascensore con un grande editore quale Einaudi, Feltrinelli, Rizzoli, Mondadori, tu e l’Amministratore Delegato di una di questa Case Editrici importantissime, da soli, e avessi un minuto di tempo per sfruttare quell’occasione incredibile e imprevedibile, presentarti e convincerlo a pubblicare il tuo libro, cosa gli diresti di te quale scrittore e autore?

Questa domanda mi fa sorridere perché già so cosa farei e direi. Ti dico subito che, per prima cosa, bloccherei l’ascensore perché parlare in fretta non conviene quando si vuole essere ascoltati. Poi mi presenterei aggiungendo di essere una scrittrice emergente, ma non per questo da non tenere in considerazione. Anzi consiglierei di guardare anche a chi scrive per diletto e ci mette il cuore. Chiederei: Perché gli editori moderni si avvalgono soltanto di nomi conosciuti bandendo altre possibilità? Perché quando si desidera fare pubblicare uno scritto, gli editori aspettano gli autori emergenti a braccia aperte dietro lauti compensi? Chiederei loro di leggere i miei romanzi, di valutarli con coscienza e di vedere, oltre le parole, i sentimenti; di trarre il bello e il buono da quella lettura prima di decidere se vale la pena pubblicarli anzi di convincermi a farlo dietro compensi inimmaginabili. Anche l’editoria dovrebbe avere un codice d’onore e non soltanto leggi del mercato. Aiutare gli emergenti per dare sapori nuovi ai lettori e scoprire talenti nell’ombra. Direi tutte queste cose nella remota possibilità che questo incontro si avverasse.

 

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’ è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Rispondendo a questa domanda, devo precisare che il concetto di bellezza è vario. Bellezza può essere tante cose. Può essere ciò che ci rende felici o ci rasserena, ma può essere anche un corpo dalle forme perfette oppure una forma di arte come un dipinto o una bella statua. Si potrebbe parlare per ore sul concetto di bellezza e potremmo affermare che ciò che è perfetto è bello, ma non è così perché non sempre la bellezza include la perfezione. Spesso può includere la seduzione e, allora, si dice che ciò che seduce e ammalia è bellezza poiché è capace di afferrare non soltanto gli occhi di chi guarda, ma l’anima. Cercare e trovare la perfezione nell’imperfezione è bellezza.

 

Quando parliamo di bellezza, siamo così sicuri che quello che noi nati nel Novecento intendiamo per bellezza sia lo stesso, per esempio, per i ragazzi della Generazione Z o per i Millennial, per gli adolescenti nati nel Ventunesimo secolo? E se questi canoni non sono uguali tra loro, quando parliamo di bellezza che salverà il mondo, a quale bellezza ci riferiamo?

Oggi si parla più di bellezza esteriore che non di bellezza interiore. Si guarda al proprio corpo come un sex-simbolo e si finisce per seguire la moda degli innumerevoli prodotti di bellezza; si seguono alla lettera gli spot pubblicitari che invitano a prendere integratori in casa o in palestra per gonfiare i muscoli: perché quasi tutti tengono ad avere un corpo statuario, senza considerare, però, che certi farmaci finiscono per danneggiare la salute. La bellezza del corpo induce soprattutto i giovani a far uso di prodotti dimagranti che spingono a privarsi del cibo per avere un corpo magro perché “magrezza è sinonimo di bellezza”.

 

 

Esiste oggi secondo te una disciplina che educa alla bellezza? La cosiddetta estetica della cultura dell’antica Grecia e della filosofia speculativa di fine Ottocento inizi Novecento? Come si possono “educare” i giovani alla bellezza? C’è un modo per farlo secondo te?

No. L’estetica della cultura greca e latina non ha più senso, oggi. È una disciplina antiquata e sorpassata non solo per i secoli che la separano da noi, ma anche per il modo diverso di concepire la vita e l’essere. Oggi è bello ciò che piace a sé stessi e agli altri anche se per raggiungere questa meta si è costretti a fare grossi sacrifici e sopportare dolori. Ti rendo l’esempio più eclatante della pelle martoriata di tatuaggi perché la moda detta questo. I jeans firmati e le maglie, spesse volte orrende con cui si vestono gli adolescenti, ma anche adulti, pur di apparire e di competere con gli altri. Dentro un capo trend ci si sente diversi, se poi ha una firma nota: allora è il massimo che fa diverso. Mi chiedi come educare i giovani alla bellezza? Sinceramente in una società “sballata” come la nostra, penso sia inattuabile il concetto di bellezza come si intendeva una volta. Non ci proverei nemmeno. Non per vigliaccheria, semplicemente perché è difficile, anzi impossibile, competere con un sistema pubblicitario che tartassa dalla mattina alla sera e, modificando il pensiero, convince a comprare anche on line qualsiasi mercanzia utile alla bellezza. Che si fa: spariamo al mercato pubblicitario, spegniamo il computer o la televisione oppure togliamo i cellulari dalle mani dei giovani quando, per primi noi adulti, li abbiamo abituati a queste cose? È tutto un sistema che non va e non si può fare nulla per cambiarlo perché è troppo tardi. È un sistema che ha messo al bando concetti umanistici di purezza e bellezza per sostituirli con effimeri ideologie trasformiste che hanno fatto dei giovani oggetto di approvvigionamenti industriali. Scordiamoci di Cicerone e di tutti gli altri esimi fautori di bei concetti perché la bellezza oggi è quella che vediamo per le strade, nei pub, nelle discoteche o nelle palestre!

 

«Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Cosa ne pensi tu in proposito? Cosa legge il lettore in uno scritto? Quello che ha nella testa “chi lo ha scritto” oppure quello che gli appartiene e che altrimenti non vedrebbe?

Quando ho scritto i primi due volumi della mia trilogia, ho voluto scrivere un po’ dei miei trascorsi, trasferendoli in Marta che è il personaggio principale delle due storie. Man mano scrivevo e cambiavo scenari, mi accorgevo che stavo allontanandomi dalle mie esperienze per avvicinarmi al mondo di Marta e degli altri personaggi. In pratica avevo finito per traspormi in loro, ma con modalità diverse dal reale. Quando ho chiesto a coloro che avevano letto il romanzo chi avevano visto in Marta e in tutta la storia, hanno risposto d’avermi riconosciuta, dapprincipio, ma poi avevano visto una persona diversa, e alcuni addirittura avevano immaginato di vivere in prima persona certe esperienze descritte, mentre altre mi hanno confessato che si sarebbero comportati alla stessa maniera di questo o quello se si fossero trovati nella medesima situazione. Secondo me è interessante scoprire che, spesso, accade ciò che non ci aspettiamo: scrivere una storia e realizzare che un lettore riesce a vedersi in un personaggio o in uno degli episodi raccontati. Allora posso affermare che il lettore, leggendo una storia, può arrivare a scoprirvi sé stesso e, se è vero questo fatto, possiamo dire che nella fantasia c’è sempre una buona fetta di realtà.

 

«…anche l’amore era fra le esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia della ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso senza fondo.» (Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, Volume primo, p. 28, Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi di questa frase di Robert Musil? Cos’è l’amore per te e come secondo te è vissuto oggi l’amore nella nostra società contemporanea, tecnologica e social?

L’amore! – L’amore è questo sentimento che ti fa soffrire, ti annienta e ti avvilisce? Se questo è l’amore: io non voglio più provarlo! – questa è la riflessione di un altro personaggio di un mio romanzo. Cos’è veramente l’amore? Per Freud, l’amore è un impulso narcisista che si esteriorizza avvilendo il soggetto innamorato. Per Musil, l’amore capita per caso e sempre per caso due persone innamorate si mettono insieme, come per caso arriva anche l’infedeltà, considerata il compimento dell’amore. Pensieri tortuosi e difficili da comprendere a chi, come me, affida all’amore sentimenti puri che nulla hanno a che vedere con l’infedeltà e l’erotismo inteso come voluttà e piacere dei sensi. Certamente non posso negare che chi ami non debba provare sentimenti e passioni dando loro concretezza, ma l’amore è pure altro. L’amore è quella strana sensazione che si prova alla bocca dello stomaco, definita dai più “farfalle” mentre io la definisco “pugno”. Per me lo è stato quando casualmente (e qui ha ragione Musil) ho incontrato mio marito. Un pugno allo stomaco che per giorni mi ha tolto la fame. Amore è stare insieme ed aiutarsi. È comprendersi, arrabbiarsi ma poi fare la pace prima che venga un altro giorno. L’amore è desiderio dell’altro; appagamento. Spesso follia: quella buona, però! È perdono, libertà baci al posto degli schiaffi; rispetto al posto delle offese. Poi c’è l’amore inteso come affezione che non comprende la passione ma, semplicemente, l’attaccamento sentimentale a certi ricordi, agli amici e alle persone care. Ci sono tanti tipi di amore che accompagnano la nostra vita: dall’amore per la mamma che si manifesta sin dalla nascita e che rappresenta il nostro primo, vero grande amore, e poi ci sono gli altri che evolvono nel tempo fino a farci comprendere che non possiamo vivere senza questo sentimento e che dove c’è vita, c’è l’amore. Mi chiedi come è vissuto l’amore oggi? Io sinceramente ho qualche riserva su come viene vissuto questo sentimento, oggi. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma è deludente osservare con quanta facilità si cambi il partner o ci si innamori dopo un invito a cena o le celebri prove di scambio con il partner dell’altro. Scambi di coppie, amori tirati a sorte, innamoramenti improvvisi in certi spettacoli solo per fare audience, sono deludenti e mortificanti e andrebbero banditi ai giovani , facilmente influenzabili. Non mi piace quello che hanno fatto a un sentimento puro e profondo. Io aborro, dice spesso un noto giornalista. Ebbene dovremmo anche noi dire: Io aborro! Può essere difficile, non impossibile!

 

 

«I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti.» (Umberto Eco, “Numero Zero”, Bompiani ed., Milano, 2015). Cosa ne pensi di questa frase del grande maestro Umberto Eco? In generale e nel mondo dell’arte, della cultura, della letteratura contemporanea? Come secondo te va interpretata considerato che oggi le TV, i mass media, i giornali, i social sono popolati da “opinionisti-tuttologi” che si presentato come coloro che sanno “tutto di tutto” ma poi non sanno “niente di niente”, ma vengono subdolamente utilizzati per creare “opinione” nella gente comune e, se vogliamo, nel “popolo” che magari di alcuni argomenti e temi sa poco? Come mai secondo te oggi il mondo contemporaneo occidentale non si affida più a chi le cose le sa veramente, dal punto di vista professionale, accademico, scientifico, conoscitivo ed esperienziale, ma si affida e utilizza esclusivamente personaggi che giustamente Umberto Eco definisce “autodidatti” – e che io chiamo “tuttologi incompetenti” – ma che hanno assunto una posizione di visibilità predominante che certamente influenza perversamente il loro pubblico? Una posizione di predominio culturale all’insegna della tuttologia e per certi versi di una sorta di disonestà intellettuale che da questa prospettiva ha invaso il nostro Paese? Come ne escono l’Arte. La Letteratura e la Cultura da tutto questo secondo te?

Nella realtà quotidiana c’è un fenomeno dilagante che andrebbe meglio controllato, senza per questo intercedere contro i valori della Democrazia. Se è vero e lo è che, in democrazia, ognuno può esporre le proprie idee, è pur vero l’uso indiscriminato che taluni fanno delle proprie idee. Parlo degli opinionisti: di coloro che fanno uso scorretto di ciò che leggono o del loro sapere per influenzare gli altri. In questo tragico momento che ci fa sentire prigionieri di un virus sconosciuto non c’ è televisione, radio o giornale che non ospiti, ogni sera, un opinionista diverso. Ma chi è l’opinionista? Se pensate che sia un uomo di cultura, una persona dotata di sapienza dottrinale, vi sbagliate! L’opinionista, il più delle volte è un ignorante tuttologo. Uno che crede di saper tutto solo dopo essersi aggiornato grazie ad internet. Una persona che i libri li ha visti da lontano e si spaccia per erudita su questioni delicate; un deputato al convincimento e di questo si vanta. Il tuttologo è da tenere in considerazione non tanto per le cose che dice, sempre diverse e contrastanti, quanto per l’influenza che le sue teorie possono avere sull’opinione pubblica. Un esempio tangibile è l’opinionista che spara a ruota libera contro i vaccini e la loro pericolosità senza rispetto per l’individualità decisionale di chi lo sta a sentire, e continua a distorcere la realtà fino a negare le evidenze. Chi l’ascolta resta affascinato e inebetito. Così, privo di decidere da sé, si lascia trascinare nel vortice emozionale di chi parla e dà consigli. C’è oggi un uso incontrollato dei social, di internet, un dilagare di fake news che dovrebbero essere sottoposti a maggiori controlli a motivo del caos ideologico e delle paure che causano. Ha ragione Umberto Eco a definire Tuttologi la marea di opinionisti moderni.

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti che vuoi condividere con i nostri lettori?

Dopo questo secondo lavoro, ho in programma di revisionare un romanzo che ho finito da qualche settimana a cui ho dato il titolo: Le campane di maggio. Ne avevo già parlato al nostro primo incontro. Si tratta di due storie d’amore ambientate nelle grandi occupazioni del ‘68, in un clima di lotte e insoddisfazioni sociali che segneranno le rivoluzioni socio-culturali di quel periodo. Personalmente non vedo l’ora di pubblicare anche questo. Oppure farlo pubblicare. Ci penserò.

 

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire ai nostri lettori?

Naturalmente ringrazio i lettori che hanno prestato parte del loro tempo per leggere questa intervista, pregandoli, qualora si siano incuriositi al mio romanzo, di leggerlo e se volessero commentarlo, di farlo sulla mia pagina Facebook: Linda Tumbarello narrativa. Ringrazio anche te Andrea per avermi invitata. È stato un piacere essere tua ospite.

di Andrea Giostra

 

 

Alcuni Link

Linda Tumbarello
 
Il libro:
Linda Tumbarello, “Se il vento potesse parlare”, 07/ 04/ 2021
 
 
Andrea Giostra

 

 

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